Al buio.
Al buio Brunilde percepiva ogni piccola parte del suo corpo. Ritrovava la pelle delle sue mani notevolmente invecchiata ad ogni sguardo. I solchi erano simili a quelli del suolo dei deserti aridi di certe zone del pianeta. A mano a mano sempre più profondi. Sin dall'infanzia aveva l'abitudine di mangiarsi la pelle intorno alle unghie dei pollici. Una volta, alle elementari, una maestra le chiese se si fosse ustionata in quei punti. La pelle aveva assunto una sfumatura di un dolcissimo color rosa pallido ed era tutta frastagliata, piena di solchi, marmorizzata. Brunilde ricordava di quell'episodio il fatto che prima di quel momento, non ci aveva mai fatto caso. Così da quel momento iniziò a pensare a come la vedevano gli altri, dall'esterno. La loro percezione forse poteva essere diversa da quella che lei aveva di se stessa, e magari gli altri potevano far caso a ciò a cui lei non poneva attenzione, considerandolo ovvio.
Al buio.
Al buio Brunilde faceva ogni cosa. Essere esposta alla luce del giorno o a quella artificiale, la rendeva terribilmente triste a causa del fatto che doveva tendere i suoi muscoli, fingere.
Al buio Brunilde percepiva ogni piccola parte del suo corpo. Ritrovava la pelle delle sue mani notevolmente invecchiata ad ogni sguardo. I solchi erano simili a quelli del suolo dei deserti aridi di certe zone del pianeta. A mano a mano sempre più profondi. Sin dall'infanzia aveva l'abitudine di mangiarsi la pelle intorno alle unghie dei pollici. Una volta, alle elementari, una maestra le chiese se si fosse ustionata in quei punti. La pelle aveva assunto una sfumatura di un dolcissimo color rosa pallido ed era tutta frastagliata, piena di solchi, marmorizzata. Brunilde ricordava di quell'episodio il fatto che prima di quel momento, non ci aveva mai fatto caso. Così da quel momento iniziò a pensare a come la vedevano gli altri, dall'esterno. La loro percezione forse poteva essere diversa da quella che lei aveva di se stessa, e magari gli altri potevano far caso a ciò a cui lei non poneva attenzione, considerandolo ovvio.
Al buio.
Al buio Brunilde faceva ogni cosa. Essere esposta alla luce del giorno o a quella artificiale, la rendeva terribilmente triste a causa del fatto che doveva tendere i suoi muscoli, fingere.
Il buio era la sicurezza, la
comprensione, la protezione dagli attacchi esterni, il conforto. La
punizione che inconsapevolmente infliggeva a se stessa per il fatto
di non sapere dov'era.
Esattamente. Brunilde non sapeva dov'era. Nel senso, Brunilde non sapeva dove si nascondesse davvero Brunilde. Quale fosse la sua vera casa.
Aveva girato molti posti, o forse nessuno, e Brunilde era in ognuno di essi, e quindi in nessuno.
Il sogno di Brunilde era trovare un posto adatto per Brunilde.
Ma qual era? Qual era Il posto? Quale il luogo dell'essenza?
Al buio.
Al buio Brunilde un giorno si mise a correre. Corse in quei posti a lei quasi del tutto estranei e ad un certo punto vide qualcosa. Vide Brunilde con la sua mamma. Questa baciava le sue guance perfettamente sferiche, come del resto il suo capo; la teneva ben salda tra le sue braccia. L'amava così, come lei stessa aveva sempre desiderato essere amata.
In quell'amore, Brunilde era l'oggetto o il soggetto, a seconda dei punti di vista. Lei era al centro dell'attenzione per il semplice fatto che esisteva. Brunilde apprese quella condizione.
Crescendo, Brunilde continuava ad essere amata per il semplice fatto che esisteva, ma non per ciò che era. Nessuno sapeva chi era, nemmeno lei. Ma avendo appreso la condizione dell'amore passivo, non si sentiva in dovere di scoprirlo e, se qualcuno ci provava, lei lo respingeva ferocemente, terrorizzata, in piena difesa territoriale.
“Io non so cos'è, MA E' MIO! MH. Non osare avvicinarti!” ...
Esattamente. Brunilde non sapeva dov'era. Nel senso, Brunilde non sapeva dove si nascondesse davvero Brunilde. Quale fosse la sua vera casa.
Aveva girato molti posti, o forse nessuno, e Brunilde era in ognuno di essi, e quindi in nessuno.
Il sogno di Brunilde era trovare un posto adatto per Brunilde.
Ma qual era? Qual era Il posto? Quale il luogo dell'essenza?
Al buio.
Al buio Brunilde un giorno si mise a correre. Corse in quei posti a lei quasi del tutto estranei e ad un certo punto vide qualcosa. Vide Brunilde con la sua mamma. Questa baciava le sue guance perfettamente sferiche, come del resto il suo capo; la teneva ben salda tra le sue braccia. L'amava così, come lei stessa aveva sempre desiderato essere amata.
In quell'amore, Brunilde era l'oggetto o il soggetto, a seconda dei punti di vista. Lei era al centro dell'attenzione per il semplice fatto che esisteva. Brunilde apprese quella condizione.
Crescendo, Brunilde continuava ad essere amata per il semplice fatto che esisteva, ma non per ciò che era. Nessuno sapeva chi era, nemmeno lei. Ma avendo appreso la condizione dell'amore passivo, non si sentiva in dovere di scoprirlo e, se qualcuno ci provava, lei lo respingeva ferocemente, terrorizzata, in piena difesa territoriale.
“Io non so cos'è, MA E' MIO! MH. Non osare avvicinarti!” ...
Correva e poi d'un tratto vide questo e dovette fermarsi, non poté fare altrimenti. Vide tutto rischiararsi. Al buio.
Gradualmente si dischiudeva la sua
bocca perfettamente disegnata, come un bocciolo di rosa fa con la sua
vita fresca. Gli occhi si sgranavano sempre più, per cercare di
identificare lo spazio intorno a lei, ma tutto era sommerso dalle
tenebre. Era una bella sensazione di accoglienza, quella.
Brunilde aveva capito almeno una cosa: che non sapeva amare. Non semplicemente che lei non amasse, non sapeva proprio farlo! E questo perché le era stato insegnato qualcos'altro, e cioè ad essere oggetto di attenzioni morbose che la sua mamma identificava come amore. La sua povera, mai amata mamma.
Insomma le era stato inculcato il ricevere senza fine, mai il dare.
Brunilde non decideva mai per se stessa o di se stessa. Brunilde non remava mai, si lasciava piuttosto trasportare dalla corrente.
Brunilde aveva capito almeno una cosa: che non sapeva amare. Non semplicemente che lei non amasse, non sapeva proprio farlo! E questo perché le era stato insegnato qualcos'altro, e cioè ad essere oggetto di attenzioni morbose che la sua mamma identificava come amore. La sua povera, mai amata mamma.
Insomma le era stato inculcato il ricevere senza fine, mai il dare.
Brunilde non decideva mai per se stessa o di se stessa. Brunilde non remava mai, si lasciava piuttosto trasportare dalla corrente.
Al buio.
Al buio Brunilde sedeva sul freddo pavimento della solitudine; tenendo le ginocchia strette al petto e la testa chinata nell'incavo del suo cuore. Al buio Brunilde versava i liquidi nascosti nelle profondità del suo corpo più difficili da raggiungere. Lei scendeva lì giù, prendeva l'acqua salata e la faceva uscire attraverso dei condotti delicatissimi, color ambra e nocciola.
E così, ancora una volta, perdeva parti di sé per poi sentirsi a pezzi.
Al buio Brunilde sedeva sul freddo pavimento della solitudine; tenendo le ginocchia strette al petto e la testa chinata nell'incavo del suo cuore. Al buio Brunilde versava i liquidi nascosti nelle profondità del suo corpo più difficili da raggiungere. Lei scendeva lì giù, prendeva l'acqua salata e la faceva uscire attraverso dei condotti delicatissimi, color ambra e nocciola.
E così, ancora una volta, perdeva parti di sé per poi sentirsi a pezzi.
Nell'esatto momento in cui Brunilde
vide farsi chiaro, si accorse di sentire qualcos'altro; una cosa che
desiderava da moltissimo tempo. Finalmente Brunilde non aveva più
paura della morte. Questa era una cosa fantastica per una come lei,
perennemente terrorizzata dall'irrimediabilità delle
cose!
Finalmente avrebbe potuto decidere della sua morte, e quindi della sua vita, senza paura ed in totale autonomia! Le dispiaceva solo che non avrebbe più potuto condividere quel momento con la persona che sempre aveva voluto accanto. Molto tempo prima gli aveva chiesto se avesse voluto condividere la morte con lei, e lui acconsentì; ma ora che finalmente lei non la temeva più e che la vedeva quindi come possibilità di liberazione, non poteva più aspettare!
Finalmente avrebbe potuto decidere della sua morte, e quindi della sua vita, senza paura ed in totale autonomia! Le dispiaceva solo che non avrebbe più potuto condividere quel momento con la persona che sempre aveva voluto accanto. Molto tempo prima gli aveva chiesto se avesse voluto condividere la morte con lei, e lui acconsentì; ma ora che finalmente lei non la temeva più e che la vedeva quindi come possibilità di liberazione, non poteva più aspettare!
Prese Matteo, amore, padre, amico e fratello; i suoi gesti, i suoi sguardi straripanti di verità e le sue parole colme d'amore; e se le mise nel cuore. Non avrebbe mai potuto abbandonarle se non nelle profondità della sua putrefazione interiore, per non discostarsi troppo dalla sua egoistica natura. Prese la sua povera madre distrutta e se la mise sulla schiena e poi si girò a guardare suo padre, ormai così lontano da apparire ai suoi occhi solo come un puntino d'odio e risentimento sulla ventilata collina. Prese il ricordo del suo amato cagnolino, morto di dolore interiore e obesità qualche tempo prima; prese il ricordo della sua cavalla dal mantello infuocato, morta di dolore anch'ella e di parto, che Brunilde aveva seppellito nel cuore, insieme al suo puledro che non vide mai la luce del sole.
Prese tutte queste cose e se le mise nel cuore, quindi esso pian piano iniziò ad andare in putrefazione per la presenza di troppe carcasse morte di dolore; per la presenza delle parole inascoltate; dei ricordi dell'amore al quale non aveva dato la possibilità di perpetuarsi. Prese tutte queste cose e mentre il suo cuore iniziava a morire, lei se lo staccò dal petto e lo lasciò nell'erba appena ricresciuta dopo un incendio. Esso boccheggiava come un pesce appena pescato e sbattuto sul fondo della barca con tutta la violenza di cui solo un pescatore è capace.
Brunilde finalmente era libera di vivere e così fece, togliendosi la vita.
Il suo cuore fu rinvenuto pochi giorni dopo. Ormai non boccheggiava più, ma era ancora integro. Lo ritrovò Matteo,che era andato sulla rupe alla ricerca di Brunilde, sicuro che l'avrebbe trovata lì. E così fu. Trovò il suo cuore, che era la stessa cosa.
Lo portò alla madre e non poterono far altro che stringersi in un abbraccio infinito, d'amore. Solo il padre di Brunilde sembrava non essere minimamente mosso dall'accaduto. Vide il reperto, finse di dare un colpo di tosse e si voltò nuovamente indietro, per tornare a casa sua. Da solo.