mercoledì 15 ottobre 2014

Eye-contact is soul-contact

Questa sera tornavo a casa in bicicletta. Un gatto riposava accucciato sotto una macchina.
Lo vedo. Inizio a produrre i miei soliti versi sconnessi e bimbeschi, tipici di quando vedo un animale. Chissà cosa pensano di me, loro, gli animali. Che sono un alieno idiota, probabilmente. Ma non importa, non posso resistergli.
Ad ogni modo, il felino inizia a fissarmi mentre mi vede sfrecciare pericolosamente vicino a lui. Non si muove di un centimetro però. Rimane lì accucciato a fissarmi per tutto il tempo che i nostri colli e bulbi oculari possano concederci. Io ne rimango turbata, folgorata. I suo occhi sono gialli e luminosissimi.
Allora un'intuizione.
A cosa serve guardarsi negli occhi? Guardandosi negli occhi, due esseri viventi comunicano in un modo primordiale, ben lontano dal verbo.
Paura, sorpresa, passione, compassione, dolore. Questo e molto altro. Avvertimenti, sincerità, intenzioni.
Tutti gli esseri superiori hanno bisogno del contatto visivo. Per amarsi e per capirsi. Per instaurare una connessione che trascende quella corporea.
Ci fate mai caso a quanto poco ci guardiamo negli occhi? Mi capita spesso di camminare mentre parlo con qualcuno e quindi il mio sguardo è a terra, o dritto davanti a me; poi magari siamo in città e quindi mille stimoli, e niente. Niente contatto. Sento ma non ascolto, oppure ascolto ma non sento, non col cuore. Non lo facciamo apposta. Non è colpa nostra, non necessariamente.
E ci avete mai fatto caso invece a cosa sentite, provate, quando siete uno difronte l'altro e vi guardate? O a quando siete lì a cammin-parlare e poi d'un tratto i vostri sguardi volontariamente s'incontrano? Non sto parlando necessariamente di una coppia di persone che potrebbero o sono in un rapporto d'amore del tipo “fidanzati”. Parlo di chiunque. Parlo di qualsiasi cosa.
Non voglio dire niente, niente di particolare. O meglio, non voglio dirlo io, voglio invitare alla riflessione. Anzi all'esperire ciò di cui ho scritto qui.
Guardate le persone negli occhi, qualsiasi cosa stiano dicendo o facendo.
Se ad esempio stanno piangendo, magari avranno la testa chinata, a mo' di ritorsione in loro stessi, come se volessero rientrare nel loro stesso corpo per nascondersi dagli sguardi del mondo. Ecco, guardateli. Guardate le sembianze del loro volto che si piega sotto la sferza del pianto. Una persona, così come un animale, percepisce fisicamente la presenza di uno sguardo su di sé anche senza vederlo con gli occhi. Prima o poi, il piangente si accorgerà della vostra volontà di contatto, e ricambierà.
E' facile guardarsi negli occhi quando si è pervasi dalla gioia. Ma guardarsi negli occhi mentre si piange, magari insieme, quella è un'altra storia. Quella è vera connessione, vera empatia, vero Amore.
Quel tipo di contatto significa “Io voglio vedere il vero colore della tua anima in questo momento, io lo accetto, qualsiasi esso sia, anche se della tonalità più scura. Tanto buio da perdercisi.”
Guardare altrove invece, in un momento così delicato come quello del pianto, determina un allontanamento, un volersi mantenere una spanna più in su, o più a destra o più a sinistra. O più indietro come per dire “Avventuratici da solo nelle abissali profondità della tua straziata anima, io resto qui, quando hai fatto risali.”.
Aiutare è un conto; è bello, dolce, ammirevole.
Ma empatizzare è amare.

Nessun commento:

Posta un commento